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Under the Mole Antonelliana

L’officina e le ex scuderie di un palazzo storico diventano il teatro per un raffinato gioco di contrapposizioni. E si trasformano in una casa ricca di fascino.

Nella storia di Torino, una delle città più ordinate d’Italia, scorre una sottile vena di irrazionalità. È quel filo che collega Guarino Guarini, il frate-architetto che per la Sindone progettò una delle cupole più visionarie di tutto il Barocco, a Carlo Mollino, progettista elusivo, controcorrente e sulfureo. E naturalmente passa per Alessandro Antonelli, che alla città ha lasciato quella Mole che è uno dei punti di riferimento (e che, fino al 1908, è stata il più alto edificio in muratura al mondo). Ma anche un piccolo capolavoro irrazionale come casa Scaccabarozzi, che i torinesi chiamano con ironia “fetta di polenta”, edificio dalla pianta talmente stretta che, visto da alcune angolazioni, sembra costituito solo dalla facciata tutta decori. Puro teatro.
Anche l’edificio in cui si trova questo appartamento è stato progettato da Antonelli a metà dell’Ottocento. La sua firma si vede sul fronte strada, un rincorrersi di elementi architettonici, e nel cortile risolto come un gioco, ancora, di scenografie. La struttura, negli anni, ha subito alcune modifiche: ai primi del Novecento viene realizzata una scala in aggiunta a quella originaria che porta agli ambienti di rappresentanza del primo piano, di maggior prestigio rispetto a quella, preesistente, che serve tutti i livelli dello stabile; intorno agli anni ‘30 del secolo scorso, accanto alle vecchie scuderie, viene aggiunto un laboratorio-officina.
È qui che un architetto torinese ha realizzato la sua abitazione, reinventando gli spazi con rigore progettuale e originalità, dando loro nuove funzioni e al tempo stesso rileggendo in modo colto la storia dell’edificio. L’appartamento si sviluppa proprio nel vecchio laboratorio artigianale; solo la cucina è ricavata nell’ala neoclassica del palazzo. La parte giorno è costituita da una serie di spazi in successione, messi in comunicazione da passaggi fluidi: la sala da pranzo è separata dal corridoio d’ingresso da una parete-vetrata con pannelli trasparenti o colorati (che rievoca, in chiave astratta e contemporanea, la magnifica facciata ottocentesca della stazione di Porta Nuova, poco distante); dalla sala da pranzo una grande apertura ad arco mette in comunicazione con il living, suddiviso in zona tv e zona conversazione.
Tutta la zona giorno, come anche le camere, si affaccia su un patio interno, che nella bella stagione diventa un naturale prolungamento della casa; una continuità evidenziata dalla scelta di pavimentare parte dello spazio esterno con cemento, materiale utilizzato anche all’interno.
Le finiture e i materiali giocano un ruolo importante. A terra, per esempio, il parquet dell’ingresso, che riflette l’anima storica del palazzo, si interrompe bruscamente – anche a metà di una stanza, come accade nella sala da pranzo – per lasciare il posto al cemento “elicotterato”, levigato con uno speciale macchinario con elementi rotanti; laminati di gusto industriale sono accostati a un’essenza di pregio come il noce americano o al marmo Calacatta. Tutti, inoltre, dialogano con l’antico muro in mattoni dell’edificio che, come un fondale, delimita lo spazio del patio.
Il legno, che nel living è presente sotto forma di una boiserie che incorpora anche elementi di arredo e funzionali, è una delle note dominanti di tutto il progetto. Insieme a tinte come crema, nocciola e tabacco con tocchi di verde e petrolio. Il risultato è una scatola solo in apparenza neutra, giocata su equilibri calibrati con la massima precisione. È come se in queste giustapposizioni, in queste asimmetrie a sorpresa ci fosse un’eco lontana di quella sottile irrazionalità torinese di cui sopra: eclettismo che, rarefatto, qui si esprime in un gioco raffinato di contrasti e di equilibri. Un intervento in cui l’impronta contemporanea è posta in dialogo continuo e affascinante con la storia.

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